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Migranti inarrestabili, il blocco a Ventimiglia li spinge nella neve – Video

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Weil die Grenze in Ventimiglia blockiert ist, weichen die Migrant*innen auf Routen über die Alpen aus und versuchen, auf verschneiten Wegen in Turnschuhen nach Frankreich zu kommen.

Il Fatto Quotidiano | 21.01.2018

di Simone Bauducco e Stefano Bertolino

Dopo la chiusura del confine di Ventimiglia, le Alpi sono diventate la nuova rotta dei migranti che vogliono andare in Francia. Ogni giorno a Bardonecchia, stazione sciistica dell’Alta Val di Susa, decine di persone si mettono sui sentieri provando ad eludere i controlli della polizia. La strada più percorsa è quella che da Bardonecchia porta al Colle della Scala, a 1762 metri di altitudine e con un dislivello di oltre 400 metri che, in quattro ore di cammino porta al piccolo comune di Névache, in Francia. Affrontano la neve vestiti con jeans e scarpe di tela provando a raggiungere il loro sogno: “Non abbiamo alternative”, spiegano i ragazzi che in precedenza sono stati respinti dai bus e dai treni diretti in Francia. La polizia di frontiera francese, grazie ad un accordo Italia-Francia, presidia la stazione ferroviaria di Bardonecchia impedendo ai migranti senza documenti di prendere i treni diretti oltr’alpe. Così la stazione è diventata un vero e proprio centro di accoglienza dove la ONG “Rainbow for Africa” dà la prima assistenza medica. Ogni notte almeno venti migranti dormono nei locali del soccorso alpino adibiti a dormitorio dove ricevono l’assistenza dei militanti della rete Briser les Frontieres. Ma la sosta a Bardonecchia dei migranti durerà poco, giusto il tempo di dormire e riposarsi. Poi sarà tempo di rimettersi in marcia per provare a raggiungere il loro sogno

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Inferno in Libia, «oggi vi ammazziamo tutti»: i migranti torturati e i video per chiedere il riscatto

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Neue Bilder über die Folter an Migranten in Libyen. Die Videoaufzeichnung benutzen die Folterer, um von Familienangehörigen Lösegeld zu erpressen.

Corriere della Sera | 25.01.2018

Plastica fusa sulla schiena, frustate su tutto il corpo: tutto ripreso con i cellulari e poi inviato ai parenti delle vittime. Il governo libico: «Catturati gli aguzzini autori delle torture»

di Lorenzo Cremonesi

Torture in diretta. Nella scena iniziale per una ventina di secondi gli aguzzini fanno cadere plastica fusa e ancora in fiamme sulla schiena, le braccia e le gambe di un giovane di colore che piange e si dibatte. Il sistema è primitivo. Danno fuoco a un tubo di plastica che s’incendia subito. La vittima è stesa a terra sullo stomaco, implora pietà. Dall’accento pare sudanese. «Zitto! Zitto! Zitto!», gli urla la voce di un uomo fuori campo. Un altro dei persecutori con l’uniforme gli punta il mitra. «Alza la testa», gli ordinano. E lui piangendo contorce il corpo magro e nervoso, solleva il collo, obbedisce divincolandosi, l’obbiettivo gli riprende il viso contornato da riccioli scuri nella smorfia di dolore e paura. Ma non può fare altro che subire.

L’obbiettivo indugia perché sia ben chiara la sua identità. Pare si chiami Sadiq Abakar Ahmed e venga da Kutum, nel Darfur, nel Sudan occidentale, terra di migranti e ovviamente bande di trafficanti di uomini.

Poi la scena si sposta. Sembra avvenga tutto nella stessa capanna misera. Ci sono altri otto giovani, tutti pare rispondano con l’accento sudanese. Alcuni indossano slip o pantaloni sgualciti. Ma le schiene sono nude. Questa volta li frustano. Ancora ordini duri: «La tua faccia…la testa in alto…la tua faccia». Qui le guardie indossano maschere. «Oggi sarete morti», dice una voce. «Sdraiati sulla pancia, dai», minacciano. E ancora: «Colpisci questo cane….come ti chiami tu?». Risponde: «Marwi». E allora: «Colpiscilo, colpiscilo». Si odono le scudisciate secche sulle spalle brunite.

«Pagate, per favore pagate. Avete trasferito i soldi?», implorano le vittime con voce rotta dal dolore. Il fine è ovvio. Occorre che le famiglie a casa paghino. Se non verranno versati per ognuno 120.000 sterline sudanesi, pari a circa 14.000 euro, la tortura continuerà, forse sino alla morte.

Del resto chi può controllare? Quanti sono svaniti nel nulla? Il video doveva servire alla banda di trafficanti libici, forse di Sirte, per fare pressione. Un sistema ben collaudato ormai. Ma questa volta è finito sulle chat locali ed è diventato virale. Secondo i media di Tripoli e Misurata, erano molti a credere che fosse un falso. Eppure i dettagli erano precisi. Così nelle ultime ore sono intervenute le squadre della Rada, la milizia più importante al servizio del governo di unità nazionale a Tripoli. E mercoledì in serata i suoi dirigenti hanno postato a loro volta le foto dei quattro aguzzini appena catturati diffondendo nomi e cognomi.
Banditi ben organizzati, oppure balordi alle prime armi? La cosa va ancora chiarita. Ma foto e filmati tornano a denunciare platealmente gli orrori subiti in Libia dalle centinaia di migliaia di migranti in arrivo dall’Africa sub-sahariana con la speranza di giungere illegalmente in Europa.

«Terribile, ma vero. Sappiamo bene che i migranti vengono spesso rapiti e ricattati. E ciò avviene non nei campi di raccolta ufficiali organizzati dalle autorità libiche lungo la costa, ma piuttosto in quelli segreti delle milizie. Nella sola zona di Bani Walid ci sono almeno otto campi illegali, dove i ricatti di questo tipo sono all’ordine del giorno», ci raccontava in settembre il sindaco della stessa Bani Walid, la città in pieno deserto circa cento chilometri a sud della capitale che è uno dei maggiori centri di raccolta e smistamento per le colonne di migranti in viaggio dal deserto prima di raggiungere la costa. E’ la fotografia di un Paese che resta lacerato da violenze e ingiustizie senza fine.

E la situazione sembra peggiorare. Dopo i combattimenti tra milizie che una settimana fa hanno bloccato l’aeroporto di Tripoli, le tensioni sono adesso concentrate su Bengasi, dove due auto-bomba martedì sera hanno causato almeno 35 morti. Tra loro alcuni tra i massimi dirigenti militari agli ordini del generale Khalifa Haftar. La risposta non si è fatta attendere. Mercoledì ancora da Bengasi sono state diffuse le immagini di Mohmoud Warfalli, noto ufficiale delle forze di Haftar, che uccide a colpi di fucile una decina di prigionieri jihadisti in ginocchio. Già lo scorso agosto il Tribunale Internazionale dell’Aia aveva richiesto il suo arresto per un’altra esecuzione di massa.

 

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„Refugee crisis: Northern Greece struggles to house new arrivals“– Video

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Al Jazeera | 29.01.2018

by Laurence Lee

Refugee support agencies are reporting a surge in homelessness in northern Greece.

The surge is being attributed to the big rise in refugees avoiding the Greek islands and using the land border from Turkey across the Evros river into Greece instead.

The main city in northern Greece, Thessaloniki, has apparently run out of room completely to house new arrivals.

Al Jazeera’s Laurence Lee reports from Thessaloniki, Greece.

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Berlin: „Kannouta“– Die Grenze zwischen Tunesien und Europa

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Heinrich Böll Stiftung

Film und Gespräch
Freitag, 09. Februar 2018, 19:30 Uhr
Eiszeit Kino
Zeughofstraße 20, Berlin

Tunesien ist insbesonders in den letzten Jahren ein wichtiger Partner für die Migrationspolitik der EU-Mitgliedsstaaten geworden und soll als „Türsteher“ vor den Grenzen Europas funktionieren. Gleichzeitig hat sich die wirtschaftliche Situation des Landes immer mehr verschärft. Die europäische Abschottung gegen Migration führt dazu, dass auch junge Tunesier*innen wenig Möglichkeiten haben legal nach Europa zu reisen und die Überfahrt in kleinen Holz- oder Schlauchbooten über das Mittelmeer riskieren. Die Dokumentation Kannouta fragt junge Tunesier*innen und ihre Angehörigen nach ihrer Lebensrealität und den Gründen für die lebensgefährliche Reise.

Auf dem Podium:

  • Zied Ben Taleb, Regie und Film
  • Margarete Twenhoeven, Regie und Film
  • Syrine Boukadida, Watch The Med Alarm Phone Berlin

Eintritt frei

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„Flüchtlinge in Frankreich: Schutzlos in Paris“

„Grenzrebellen: Flüchtlingsretter in den französischen Alpen“

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Arte | 05.03.2018

Verfügbar von 05.03.2018 bis 02.06.2018
Live verfügbar: Ja
Nächste Ausstrahlung : Dienstag, 6. März um 12:15

Philippe Zanetti hilft – und macht sich dabei strafbar. Denn er hilft Flüchtlingen, die mitten im Winter versuchen, die schneebedeckten Alpen zu überqueren. Europäisches Recht verbietet aber, dass Privatpersonen Flüchtlingen helfen, obwohl diese sich, schlecht vorbereitet, in Lebensgefahr bringen.

Die Flüchtlinge finden immer wieder einen Weg. Egal, wie viele Flüchtlingsrouten geschlossen werden, egal, wie groß die Abschottung ist, die Europas Regierungen verfügt haben. Denn in ihrer Verzweiflung versuchen Menschen aus afrikanischen Ländern auch im Winter, die Alpenpässe zwischen Italien und Frankreich zu überwinden. Beispiel Névache im Departement Hautes-Alpes. In dem 250-Seelen-Bergdorf haben die Menschen beschlossen zu helfen, auch wenn die Gesetze es verbieten. Der 52jährige Philippe Zanetti sagt: „Ich bin nicht verantwortlich für das, was die Regierungen entscheiden. Aber ich kann versuchen, aus dem, was hier passiert, das Beste zu machen.“ Man habe eine Verantwortung, den Menschen zu helfen. Angefangen hat es, als zwei junge Flüchtlinge aus Mali versuchten, den fast 1.800 Meter hohen Bergpass Col de l’Échelle zu überqueren, mitten im Winter. Einem der beiden mussten die Füße amputiert werden, dem anderen die Hände. Seitdem machen sich die Menschen aus den Bergdörfern an der Grenze zu Italien pausenlos auf die Suche. „Wir haben das Gefühl, egal was wir machen, es wird nie enden“, sagt Philippe Zanetti. „Sie kommen täglich. Sie sind da. Was sollen wir tun?“

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Berlin: Lesvos: The Beautiful Prison – Film

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Lesvos: The Beautiful Prison

Dokumentarfilm von Laura Heinig,
2017, 55 Min., Engl.m.dt.U.

WO RegenbogenKino, Lausitzer Straße 22, 10999 Berlin-Kreuzberg

WANN Sonntag, den 25. März 2018, 18:00 Uhr

Eintritt: 5,- Euro

Der Film folgt den Geschichten und Erfahrungen von fünf Frauen auf der griechischen Insel Lesbos im Jahr 2017 und erzählt von einer einzigartigen Situation aus verschiedenen Perspektiven – Geflüchtete, Einheimische und freiwillige Helferinnen erzählen, was sie erlebt haben. Von katastrophalen Bedingungen im Camp Moria, aber auch vom Leben außerhalb des Camps. Hier schaffen Einheimische, Neuankömmlinge und AktivistInnen in Gemeinschaftsküchen, besetzten Gebäuden und auf der Straße gemeinsam Raum für Freiheit, Würde und Autonomie. Die Erfahrung der Solidarität bringt ein Geben und Nehmen auf allen Seiten, verändert und bereichert.

Nach wie vor dürfen die meisten der Geflüchteten die Insel nicht verlassen, seit nun zwei Jahren leben sie ein perspektivloses Leben unter unmenschlichen Bedingungen. Aber auch die alternativen Strukturen wachsen weiter und nach wie vor engagieren sich eine große Zahl Menschen auf Lesbos – auch wenn ihre Arbeit durch die zunehmenden staatlichen Repressionen immer schwieriger wird.

Nach dem Film freuen wir uns auf ein Gespräch mit den FilmemacherInnen und mit AktivistInnen verschiedener Initiativen, die von ihren Erfahrungen berichten. Außerdem werden die neuen EU-Regelungen vorgestellt, welche die Möglichkeit auf Asyl weiter verringern und die Rechte der Asylsuchenden einschränken sollen. Wir wollen gemeinsam weiter nach Aktionsmöglichkeiten suchen.

Veranstalter: Bündnis Griechenlandsolidarität Berlin zusammen mit Respekt für Griechenland e.V.,  ConAction Network und dem RegenbogenKino.

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Libysche Küstenwache: “Gebt uns die Migranten oder wir bringen euch um”

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La Repubblica | 20.032.2018

Drei Mal fordert das Patrouillenschiff der libyschen Küstenwache auf Englisch die LebensretterInnen des NGO-Schiffs “Open Arms” auf, die Migranten zu übergeben, “sonst werden wir euch umbringen”.

Hier die Video Dokumentation mit unten stehendem Bericht.

“Dateci i migranti o vi uccidiamo”. La minaccia dei libici alla Open arms

Sono le fasi concitate del soccorso di giovedì scorso, quando le lance della ong Open arms si incrociano con una motovedetta libica, dopo aver imbarcato bambini e mamme e aver dato i giubbotti di salvataggio agli uomini sul gommone. “Dateci i migranti o vi uccidiamo”, ripete tre volte un libico con un megafono. Lo documentano le immagini della giornalista di Ara.cat Cristina Mas, che ha realizzato un diario di bordo nella Open arms. Poi si vede il tentativo di contatto via radio tra la nave ong e la motovedetta. Alla fine i libici non riescono a prendere i migranti.

a cura di Giorgio Ruta

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Il Manifesto | 21.03.2018

«Dateci i migranti o vi uccido». Ecco come la Libia fa i soccorsi

Di mare in peggio. L’Italia e l’Europa fingono di non vedere come lavora la Guardia costiera di Tripoli

Marina Della Croce

Ci sono le mail che dimostrerebbero come a ordinare alla ong spagnola Open Arms di sbarcare a Pozzallo i migranti che aveva tratto in salvo sarebbe stata la Guardia costiera di Roma, che coordinava i soccorsi. Così come ci sono le registrazioni sempre tra il centro di controllo marittimo di Roma e la nave Open Arms che dimostrano la richiesta di intervenire in soccorso di un gommone in difficoltà in acque internazionali. E infine c’è un video, che definire eloquente è dir poco, che testimonia senza ombra di dubbio le minacce rivolte dall’equipaggio di una motovedetta libica ai volontari della Open Arms. «Si fatica a trovare un fondamento per la contestazione del reato di associazione a delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina» ha spiegato ieri l’avvocato Gaetano Mario Pasqualino, uno dei legali che assistono la Proactiva Open Arms dal momento in cui la nave della ong, dopo essere approdata a Pozzallo, è stata posta sotto sequestro dalla procura di Catania che ha anche indagato il comandante, Marc Reig e la capomissione Anabel Montes. «Quello del sequestro della nave è forse il caso più inquietante dall’inizio delle operazioni di discredito contro le ong che compiono salvataggi in mare sopperendo alle carenze degli Stati», ha proseguito il legale.

Come operano, le pressioni e le continue minacce che i volontari impegnati nel Mediterraneo sono costretti a subire è ben documentato nel video fatto circolare dalla ong spagnola. Pochi minuti nei quali si vedono le lance della Open Arms con già a bordo le donne e i bambini avvicinate dalla motovedetta libica che pretende che gli vengano consegnati i migranti tratti in salvo. Momenti concitati durante i quali dall’imbarcazione di Tripoli vengono rivolte pesanti minacce ai volontari: «Avete tre minuti per darci i migranti o vi uccido», urla un militare. E ancora: «Avete trenta secondi o vi uccido». A bordo delle lance donne e bambini seguono quanto accade con sguardi pieni di paura mentre i volontari cercano di prendere tempo e si rifiutano di obbedire agli ordine della Guardia costiera di Tripoli.

E’ il modello libico di ricerca e soccorso dei migranti, quello che l’Italia e l’Europa preferiscono far finta di non vedere. Con in più il fatto, non secondario, che la Libia non possiede una propria area Sar (ricerca e salvataggio) né può considerarsi un porto sicuro dove trasferire in migranti tratti in salvo come impone invece il diritto internazionale. Come non ha mancato di sottolineare l’avvocato Pasqualino nel contestare le accuse mosse alla ong dalla procura di Catania. ««Una zona Sar libica non risulta negli atti ufficiali delle organizzazioni internazionali», ha spiegato il legale. Per quanto riguarda poi un’altra delle accuse rivolte dai magistrati siciliani alla Proactiva, ovvero quella di non aver fatto sbarcare i migranti a Malta, porto più vicino al punto dell’avvenuto soccorso, il legale per il legale sarebbero mancate le condizioni per farlo: «I maltesi dopo aver aiutato l’equipaggio della Open Arms nelle complicatissime operazioni di soccorso della bambina di appena tre mesi che versava in pericolo di vita, non avevano dichiarato la propria disponibilità né avevano ricevuto la richiesta della Spagna» ad aprire un proprio porto. Richiesta che in seguito è stata invece accettata dall’Italia.

La scorsa estate la procura di Catania ha reso nota di aver avviato una clamorosa inchiesta sulle ong attive nel Mediterraneo centrale ipotizzando presunti contatti tra i volontari che salvavano i migranti e i trafficanti di uomini. Inchiesta che finora però sembra di fatto essersi arenata. Adesso le nuove, pesantissime contestazioni alla ong spagnola.

Sulla vicenda della Open Arms il neo deputato di +Europa e segretario di Radicali italiani Riccardo Magi ha annunciato di voler presentare un’interrogazione parlamentare ai ministri degli Interni e degli Esteri nella prima seduta della Camera. Nel frattempo le accuse alla ong spagnola, e il sequestro di una delle sue navi, riduce al minimo il numero delle ong impegnate nei salvataggi. L’allarme arriva da Sos Mediterranee, ormai rimasta sola a operare nel Mediterraneo: «Dopo un inverno in mare, la Aquarius torna nelle acque internazionali. Sarà l’unica nave di una ong ancora nella zona. Compromettere le operazioni di soccorso – conclude la ong – equivale a mettere in pericolo le vite dei migranti».

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Tausende von Schwimmwesten aus Lesbos vor dem niederländischen Parlament – Video

La guida alpina che ha soccorso i migranti: «Non una scelta ma un dovere» – Video

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Interview mit Benois Duclos, dem eine Gefängnisstrafe als Schlepper droht, weil er eine hochschwangere Frau und fünf andere Migranten im Schnee in den französischen Alpen aufgelesen und mit dem Auto ins Krankenhaus nach Briancon gebracht hat.

Corriere TV | 26.03.2018

Parla Benoit Duclos, che in Francia rischia 5 anni per traffico di esseri umani – Stefano Bertolino /LaPresse – CorriereTv

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Il Fatto Quotidiano | 27.03.2018

“Se non l’avessi fatto, oggi non potrei guardarmi allo specchio”. Benoit Ducos ha 48 anni ed è la guida alpina di Briancon, che pochi giorni fa ha trasportato in Francia un gruppo di migranti, tra cui una donna incinta. Ora rischia fino a 5 anni di carcere. “La polizia di frontiera ci ha fermato a 500 metri dall’ospedale e ci ha fatto perdere del tempo prezioso per la donna che ha partorito poco dopo” racconta la guida, che è stata convocata dalla polizia di frontiera e rischia di andare a processo per il cosiddetto “reato di solidarietà”. Soltanto a Briancon ci sono più di 50 cittadini che potrebbero andare a processo con lo stesso capo di imputazione: “Questo reato è stato creato per lottare contro il traffico di essere umani, ma oggi viene usato contro le persone che aiutano i migranti”.

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„Il Kenya sta costruendo una barriera per fermare i profughi somali“– Video

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Kenia errichtet einen Grenzzaun, um Flüchtlinge aus Somalia zu stoppen.

Internazionale | 29.03.2018

“Il motivo principale per costruire una barriera è impedire le incursioni dei terroristi che entrano in Kenya dalla Somalia”, dice Fredrick Shishia, un funzionario del governo di Nairobi.

Dal 2014 il Kenya ha cominciato a costruire una recinzione al confine con la Somalia per fermare il passaggio dei profughi. Sono stati costruiti 5,3 chilometri di recinzione su una frontiera lunga 700 chilometri. Il governo keniano vorrebbe inoltre chiudere il campo profughi di Dadaab, dove vivono 235mila persone, perché considerato un pericolo per la sicurezza nazionale. Oggi i somali in Kenya sono più di 300mila. Negli ultimi quattro anni sono state rimpatriate in Somalia circa 78mila persone.

Un mondo di muri è una serie del giornale brasiliano Folha de S. Paulo sulle barriere costruite per chiudere i confini, fermare i migranti o nascondere la povertà. Nel 2001 ne esistevano 17, oggi sono 70.

Da sapere

Nel 1960 la Somalia ottiene l’indipendenza dall’Italia e dal Regno Unito. Nove anni dopo, un colpo di stato militare porta al potere il generale Mohammed Siad Barre, che abolisce la costituzione. Alla fine degli anni ottanta il paese affronta una grave crisi economica e la popolarità del regime di Siad Barre, sempre più autoritario, comincia a vacillare. Nel 1991 il dittatore viene rovesciato dal Congresso della Somalia unita (Csu), ma la situazione si complica perché il Csu si divide in due fazioni, una guidata da Ali Mahdi Mohamed e l’altra da Mohammed Farah Aidid. Scoppia una guerra civile che provoca decine di migliaia di morti e un grande flusso di profughi verso il Kenya e altri paesi.

Nel corso del conflitto si diffondono in tutto il paese gruppi integralisti islamici. Nel 2006 comincia ad affermarsi Al Shabaab, che inizialmente promuove il nazionalismo somalo e vuole imporre uno stato fondato sulla sharia. Tre anni dopo il gruppo controlla gran parte della Somalia centrale e meridionale, e nel 2012 proclama la sua fedeltà ad Al Qaeda. Al Shabaab organizza operazioni di guerriglia e attentati suicidi in Somalia e nei paesi vicini, in particolare in Kenya (nel 2013 attacca il centro commerciale Westgate di Nairobi e nel 2015 l’università di Garissa) e in Uganda.

Nonostante la presenza dei soldati dalla missione dell’Unione africana (Amisom), la guerra tra le forze fedeli al governo e i miliziani jihadisti continua per anni, mentre la situazione alimentare e sanitaria della popolazione peggiora. Guerra civile, attentati e carestie costringono centinaia di migliaia di somali a scappare nei paesi vicini: Kenya, Yemen, Etiopia, Uganda, Gibuti ed Eritrea. I profughi interni sono più di un milione e mezzo. L’approvazione di una costituzione provvisoria, la nomina di un nuovo parlamento e l’elezione, nel 2012, del presidente Hassan Sheikh Mohamud, segnano l’inizio di una nuova fase politica. Nel febbraio del 2017 subentra nella carica presidenziale l’ex premier Mohamed Abdullahi Mohamed, detto Farmaajo. Nell’autunno del 2017 Al Shabaab torna a colpire Mogadiscio con un attentato che causa la morte di quasi 600 persone.

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„Migranti, polizia francese trascina fuori da un treno una donna incinta proveniente da Ventimiglia“

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Video: Französische Polizei zerrt eine schwangere Migrantin aus einem Zug, der aus Ventimiglia kam. Die Frau reiste mit ihrer Familie und musste in Mentone aussteigen.

Il Fatto Quotidiano | 05.04.2018

Un video, pubblicato nei giorni scorsi da tre studenti francesi, mostra una squadra della polizia francese che trascina fuori da un treno una migrante incinta, prendendola per braccia e gambe dopo un controllo tra grida e proteste. La donna, scrive il giornale Nice Matin, viaggiava con la sua famiglia su un convoglio proveniente da Ventimiglia ed è stata costretta a scendere a Mentone.

“Dovete scendere, scendete!”, gridano gli agenti nel video a un uomo che risponde in inglese: “Perché mi arrestate? Sono con mia moglie, è incinta”. L’uomo, scrive ancora Nice-Matin, si rifiuta di consegnare i documenti e gli agenti decidono di far scendere la famiglia. La situazione degenera rapidamente tra le grida dell’uomo: “Non toccate mia moglie, è incinta!”. La donna accusa un malore e viene quindi trascinata sulla banchina della stazione. Le immagini sono state girate con il cellulare da tre studenti di Cannes che rientravano da un reportage a Ventimiglia proprio sulla situazione dei migranti al confine italo-francese. Anche i tre giovani sono stati controllati dalla polizia. Il video, girato a febbraio, era stato poi inviato all’Osservatorio nazionale sulle violenze della polizia. Il 27 marzo è finito su internet, scatenando polemiche e indignazione.

La prefettura del dipartimento Alpes-Maritimes, contattata da Nice-Matin, ha replicato: “Se ci sono delle violenze in questo video, non sono state commesse dalla polizia. E’ la reazione fuori misura dei soggetti fermati che ha costretto le forze dell’ordine a un uso proporzionato della forza. Ma non c’è stata violazione dei diritti delle persone”. La prefettura inoltre, dichiara che, una volta sulla banchina, una delle donne “ha lanciato un bambino sui binari e le forze dell’ordine sono intervenute per recuperarlo”.

 

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Migranti, occupata la stazione di Briancon: “Qui perché senza alternative”. Attivisti: “Stato si prenda le sue responsabilità”

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Seit zwei Nächten übernachten mehr als 100 Migrant*innen im Bahnhof von Biancon an der französisch-italienischen Grenze. Aktivisten der Gruppe Tous migrant haben ihn besetzt.

Il Fatto Quotidiano | 10.04.2018

Da due notti, oltre 100 migranti dormono nella stazione ferroviaria del comune francese di Briancon, al confine con l’Italia, occupata da un gruppo di attivisti del gruppo Tous migrant.  “Questa è l’unica risposta possibile al grosso afflusso di migranti in arrivo” scrivono i volontari sulla loro pagina Facebook. “Servono materassi, coperte e cibo – è l’appello – Tra il rifugio solidale, la parrocchia e la stazione ci sono oltre 150 persone che hanno bisogno di un posto dove dormire”. Gli occupanti arrivano dal Mali, dalla Costa d’Avorio e dal Gambia e hanno marciato per oltre venti chilometri in mezzo alla neve per passare il confine italo-francese. “Non avevamo altra scelta, dovevamo aiutarli -spiega Elie, uno studente francese – e così abbiamo aperto la stazione”. Alcuni di loro hanno vissuto in Italia. Come Koulibaly, originario del Mali che ha lavorato nelle campagne del sud: “Ho raccolto pomodori a Foggia e arance a Rosarno, sempre senza contratto, ma adesso voglio andare in Francia”. Accanto a lui si riposa Mohammad, anche lui maliano. Vuole andare a Parigi perché c’è più tolleranza: “L’Italia ci ha accolto, ma non è ancora pronta per i migranti: quando camminavo, la gente cambiava percorso perché aveva paura di me”.

Corriere della Sera | 10.04.2018

Migranti occupano la stazione di Briançon, alla frontiera con l’Italia

 

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ARTE: Türsteher Europas – Wie Afrika Flüchtlinge stoppen soll

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ARTE | 12.06.2018

52 Min.
Verfügbar von 12/06/2018 bis 11/07/2018
Live verfügbar: ja
Nächste Ausstrahlung am Freitag, 15. Juni um 02:55

Mit Milliardensummen werden afrikanische Staaten als neue Grenzschützer etabliert. Entwicklungshilfe wird an Bedingungen geknüpft: Nur wer Europa bei der Migrationskontrolle beisteht, bekommt Geld. Profiteure dieser Politik sind Rüstungs- und Sicherheitsfirmen. In zwölf Ländern haben die Autoren der Dokumentation erkundet, wie Europa heute seine Grenzen durch Afrika zieht.

Film ansehen

Spanien hat es vorgemacht: Als 2004 Flüchtlinge in Booten von Westafrika zu den Kanarischen Inseln fuhren, griff das Land durch. Es zahlte Ländern wie Senegal viele Millionen Euro, um die Flüchtlinge zu stoppen. Seitdem riegelt die spanische Küstenwache die senegalesischen Strände ab, Tausende Kilometer von Europa entfernt. Dieses Prinzip kopiert die EU heute im großen Stil mit fast zwei Dutzend Ländern in Afrika. Der Deal lautet: Entwicklungshilfe gegen Flüchtlingsstopp. Mehrere Milliarden Euro bietet die EU für die Koalition in Sachen Grenzschutz. Entwicklungshilfe wird an Bedingungen geknüpft: Wer beim Kampf gegen irreguläre Migration als Türsteher der EU agiert, bekommt Geld. Europäische Polizisten und Soldaten werden in immer mehr Länder Afrikas geschickt, um den Grenzschutz zu verbessern. Auch Diktaturen wie Sudan und Eritrea werden so zu „Partnern“ Europas, um Fluchtrouten zu unterbrechen. Für europäische Sicherheits- und Rüstungskonzerne ist das Geschäft mit der Grenztechnologie ein neuer Absatzmarkt. Mit Hilfe von Entwicklungsgeldern investieren afrikanische Regierungen in Hochtechnologie „Made in Europe“, die sie sich ohne EU-Hilfe nicht leisten können. Kritik äußert die Afrikanische Union: Sie sieht ihre Pläne von einem Kontinent der Freizügigkeit ähnlich dem Schengen-Modell als unvereinbar mit den EU-Vorstellungen. Die Reporter Jan Schäfer und Simone Schlindwein haben unter anderem in Uganda, Niger und dem Sudan untersucht, wie die EU ihre Migrationspolitik in Afrika durchsetzt, wer davon profitiert und welchen Preis die Migranten dafür zahlen müssen.

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Flüchtlinge im Mittelmeer: Das Sterben geht weiter – Video


Film: Il ritorno del mare chiuso

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In dem Film Mare Chiuso von Stefano Liberti und Andrea Segre aus dem Jahr 2012 erzählen Migrant*innen von den Folgen, die das Abkommen zwischen Berlusconi und Ghadaffi für sie hatte. Auch damals wurden alle Boote, auf denen sich Flüchtende befanden, systematisch nach Libyen zurückgebracht. Das italienische Filmkollektiv ZaLab bietet den Dokumentarfilm aus aktuellem Anlass nun als Stream an – auch in einer englischsprachigen Version.

Internazionale | 12.07.2018

Accordi con i libici, blocco navale, porti chiusi: le parole d’ordine che risuonano oggi non sono nuove. Tra il 2009 e il 2010, in seguito agli accordi tra il governo di Muammar Gheddafi e quello italiano guidato da Silvio Berlusconi, tutte le imbarcazioni che trasportavano migranti venivano sistematicamente ricondotte in territorio libico dalla marina militare e dalla guardia di finanza italiana.

Una strategia politica per la quale l’Italia è stata condannata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, per aver violato l’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti umani e aver rimandato nel paese nordafricano alcuni cittadini eritrei e somali, che rischiavano di subire trattamenti inumani e degradanti.

Il documentario Mare chiuso, di Stefano Liberti e Andrea Segre, racconta quella pagina storica attraverso le testimonianze dei migranti respinti in Libia. ZaLab lo ripropone in streaming gratuito per dare idealmente voce a quanti vengono respinti in queste ore e per dare il proprio contributo al dibattito in corso.

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Demonstration in Ventimiglia: „Weder Macron noch Salvini“

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La Repubblica | 13.07.2018

Ventimiglia, manifestazione No Borders al confine: ma i francesi sbarrano la strada

di Giulia Destefanis

‘Né con Macron né con Salvini’: un centinaio di attivisti, vernice alla mano e giubbotti salvagente sulle spalle, manifestano al confine tra Italia e Francia a Ventimiglia, a un passo dagli scogli teatro della prima grande protesta del 2015. Obiettivo: provare simbolicamente ad attraversare la frontiera per chiedere libertà di movimento per i migranti. Ma le forze dell’ordine italiane e francesi, schierate con reti e camionette, sbarrano la strada. „Siamo pacifici, non forziamo il blocco – spiegano i ragazzi di Progetto 20k, che da anni sostengono i migranti in transito a Ventimiglia – Ma il fatto che ci sbarrino la strada dimostra che le frontiere in questa Europa sono chiuse, o meglio aperte solo a merci e capitali’.

I manifestanti, che domani torneranno in piazza a Ventimiglia per un corteo proprio nel giorno di festa nazionale francese del 14 luglio, chiedono l’istituzione di un ‘permesso di soggiorno europeo“ per i popoli migranti.

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Dokumentarfilm über die Lebensbedingungen von Migrant*innen in Libyen

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„In Libyen ist die Sklaverei wieder eingeführt worden. Europa hat es provoziert, Europa hat es zugelassen und Europa profitiert davon. Für den Notfall hat Europa seine eigenen Sklaven auf der anderen Seite des Meeres“ – so die Botschaft von drei Boat People aus Afrika, die in Sizilien gelandet sind und die Regisseur Michelangelo Severgnini in seinem Film ‚Schiavi di Reserva‘ zu Wort kommen lässt.

Il Fatto Quotidiano | 25.07.2018

Schiavi di riserva, il documentario di Michelangelo Severgnini sulla condizione dei migranti in Libia

“In Libia, la schiavitù è stata ripristinata. L’Europa l’ha provocata, l’ha permessa e ne trae beneficio. In caso di necessità, l’UE ha i propri schiavi di riserva appena oltremare. Questo è il messaggio consegnatoci da 3 ragazzi africani appena sbarcati in Sicilia, dopo aver attraversato il deserto e il mare e soprattutto dopo essere stati usati come schiavi in Libia.

La situazione sul terreno, fuori controllo e gestita da diverse bande armate locali, e la mancanza di un governo riconosciuto creano le condizioni perché la schiavitù sia comunemente accettata, diventando una parte reggente del sistema produttivo libico. Tuttavia, qual è il ruolo dell’UE in questo inferno? L’Italia ha finanziato le milizie libiche e i centri penitenziari (in realtà colonie di schiavi) con milioni di euro per combattere l’immigrazione. L’Italia ha venduto armi all’Arabia Saudita (500 milioni di euro negli ultimi 2 anni), ora finite nelle mani dei gruppi armati africani di Libia, Niger e Mali.

L’Italia ha ora dispiegato 500 soldati italiani in Niger per opporsi a queste bande. L’Italia ha pagato la più grande tangente della storia (oltre 1 miliardo di euro pagati nel 2011 dall’ENI) agli allora primo ministro nigeriano e ministro del petrolio nigeriano per assicurarsi lo sfruttamento di un’area al largo della Nigeria. È un paradigma condiviso? Ci stiamo preparando ad accettare la schiavitù in tutto il mondo?”. Così il regista Michelangelo Severgnini presenta il documentario che ha girato in Sicilia, raccogliendo le testimonianze di chi dalla Libia è fuggito

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Ceuta: 100 der 700 Zaunüberwinder „heiß abgeschoben“

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Von den über 700 Geflüchteten, die heute den EU-Zaun von Ceuta überwanden und auf spanischem Boden vom Roten Kreuz in Empfang genommen wurden, schob die spanische Guardia Civil auf illegale Weise schätzungsweise 100 der Geflüchteten durch Türe im EU-Zaun nach Marokko ab, siehe unten verlinktes Video der Tageszeitung „El Faro de Ceuta“. Die sozialistische Regierung hat bei ihrem Regierungsantritt vor wenigen Wochen versprochen, dass derartige „heiße Abschiebungen“ ab sofort nicht mehr praktiziert würden. Gerichte hatten diese Praxis der Kollektivabschiebungen an den EU-Zäunen der spanischen Enklaven Ceuta und Melilla als illegal gebrandmarkt.

el Faro | 26.07.2018

Devoluciones en caliente en Ceuta tras las promesas de Pedro Sánchez de quitarlas

A pie de vallado se han producido entregas de inmigrantes a Marruecos

por Carmen Echarri

La política migratoria en el perímetro fronterizo no ha cambiado mucho desde la llegada del PSOE al Gobierno. Eso a pesar de las promesas efectuadas por Pedro Sánchez en el discurso de investidura para relevar a Mariano Rajoy en la presidencia del Gobierno. A pie de frontera que separa Ceuta de Marruecos, la Guardia Civil ha procedido a devolver a varios inmigrantes después de ser bajados de la valla en el salto masivo de esta mañana.

Por mucho que Sánchez hiciera promesas el protocolo no ha cambiado a pie de valla, puesto que a la Guardia Civil no se le ha dicho que varíe su modo de actuar y proceder. Tras ser reconocidos por la Cruz Roja, que se encargó de comprobar si tenían o no heridas, la Benemérita se ha ceñido a las órdenes que aún no se han variado: si no tienen heridas eran entregados por la puerta a los agentes marroquíes.

Y así ante los gritos de los inmigrantes, se aplicaban las mismas políticas migratorias que han existido siempre en el vallado, sin que el Gobierno del PSOE haya dado otras órdenes diferentes salvo la prohibición, dictada tras el 6F, de no emplear material antidisturbio.

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el Faró | 26.07.2018

Cizallas, cal viva y bolas de heces para conseguir una entrada masiva por la valla de Ceuta

Al menos 400 subsaharianos han conseguido el pase y llegar a la carrera al CETI en una de las entradas más violentas que recuerda la Guardia Civil. Hay varios agentes heridos e inmigrantes

por Carmen Echarri

La de esta madrugada ha sido la más violenta en tiempos que recuerda la Guardia Civil de Ceuta. Hasta 600 personas han conseguido el pase y para ello no han dudado en arrojar bolas con heces, cal viva o ácido contra los guardias civiles además de usar radiales, cizallas y lanzallamas caseros, según han manifestado agentes a pie de terreno.

Hay varios ingresados en el HUCE pero también hasta allí han llegado varios inmigrantes con heridas y cortes producidos por las concertinas. La de hoy ha sido una entrada que ha dejado sin posibilidad de acción a la Guardia Civil y a Marruecos, posibilitándose el pase por la zona de las Lanzas.

Cientos de estos jóvenes, muchos menores, han ido a la carrera por el Príncipe hasta llegar al CETI; por el camino se veían sus ropas. Varios se han quedado encaramados, viviéndose en la misma valla las escenas más llamativas. Los heridos, tras ser reconocidos por la Cruz Roja han sido trasladados al Hospital pero otros, tras su examen, han sido devueltos a Marruecos.

Los gritos y lamentos de quienes eran entregados se escuchaban en toda la valla. Había quienes a sabiendas de que les iban a devolver intentaban escapara sin éxito. Varios han sido entregados por la doble valla.

Mientras esto ocurría en el perímetro, en el CETI se buscaba la organización de todos los que habían llegado por sus propios medios. Eran tantos que el centro ha terminado desbordándose. Se barajará ahora si tener que montar módulos externos para darles acogida.

Tras meses de bloqueo fronterizo en los que el mar ha sido la principal vía para la inmigración, los subsaharianos han vuelto a utilizar el salto a la valla de Ceuta traducido en la entradas más importante del año. La Guardia Civil está valorando ahora los daños causados.

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