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La guida alpina che ha soccorso i migranti: «Non una scelta ma un dovere» – Video

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Interview mit Benois Duclos, dem eine Gefängnisstrafe als Schlepper droht, weil er eine hochschwangere Frau und fünf andere Migranten im Schnee in den französischen Alpen aufgelesen und mit dem Auto ins Krankenhaus nach Briancon gebracht hat.

Corriere TV | 26.03.2018

Parla Benoit Duclos, che in Francia rischia 5 anni per traffico di esseri umani – Stefano Bertolino /LaPresse – CorriereTv

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Il Fatto Quotidiano | 27.03.2018

“Se non l’avessi fatto, oggi non potrei guardarmi allo specchio”. Benoit Ducos ha 48 anni ed è la guida alpina di Briancon, che pochi giorni fa ha trasportato in Francia un gruppo di migranti, tra cui una donna incinta. Ora rischia fino a 5 anni di carcere. “La polizia di frontiera ci ha fermato a 500 metri dall’ospedale e ci ha fatto perdere del tempo prezioso per la donna che ha partorito poco dopo” racconta la guida, che è stata convocata dalla polizia di frontiera e rischia di andare a processo per il cosiddetto “reato di solidarietà”. Soltanto a Briancon ci sono più di 50 cittadini che potrebbero andare a processo con lo stesso capo di imputazione: “Questo reato è stato creato per lottare contro il traffico di essere umani, ma oggi viene usato contro le persone che aiutano i migranti”.

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„Il Kenya sta costruendo una barriera per fermare i profughi somali“– Video

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Kenia errichtet einen Grenzzaun, um Flüchtlinge aus Somalia zu stoppen.

Internazionale | 29.03.2018

“Il motivo principale per costruire una barriera è impedire le incursioni dei terroristi che entrano in Kenya dalla Somalia”, dice Fredrick Shishia, un funzionario del governo di Nairobi.

Dal 2014 il Kenya ha cominciato a costruire una recinzione al confine con la Somalia per fermare il passaggio dei profughi. Sono stati costruiti 5,3 chilometri di recinzione su una frontiera lunga 700 chilometri. Il governo keniano vorrebbe inoltre chiudere il campo profughi di Dadaab, dove vivono 235mila persone, perché considerato un pericolo per la sicurezza nazionale. Oggi i somali in Kenya sono più di 300mila. Negli ultimi quattro anni sono state rimpatriate in Somalia circa 78mila persone.

Un mondo di muri è una serie del giornale brasiliano Folha de S. Paulo sulle barriere costruite per chiudere i confini, fermare i migranti o nascondere la povertà. Nel 2001 ne esistevano 17, oggi sono 70.

Da sapere

Nel 1960 la Somalia ottiene l’indipendenza dall’Italia e dal Regno Unito. Nove anni dopo, un colpo di stato militare porta al potere il generale Mohammed Siad Barre, che abolisce la costituzione. Alla fine degli anni ottanta il paese affronta una grave crisi economica e la popolarità del regime di Siad Barre, sempre più autoritario, comincia a vacillare. Nel 1991 il dittatore viene rovesciato dal Congresso della Somalia unita (Csu), ma la situazione si complica perché il Csu si divide in due fazioni, una guidata da Ali Mahdi Mohamed e l’altra da Mohammed Farah Aidid. Scoppia una guerra civile che provoca decine di migliaia di morti e un grande flusso di profughi verso il Kenya e altri paesi.

Nel corso del conflitto si diffondono in tutto il paese gruppi integralisti islamici. Nel 2006 comincia ad affermarsi Al Shabaab, che inizialmente promuove il nazionalismo somalo e vuole imporre uno stato fondato sulla sharia. Tre anni dopo il gruppo controlla gran parte della Somalia centrale e meridionale, e nel 2012 proclama la sua fedeltà ad Al Qaeda. Al Shabaab organizza operazioni di guerriglia e attentati suicidi in Somalia e nei paesi vicini, in particolare in Kenya (nel 2013 attacca il centro commerciale Westgate di Nairobi e nel 2015 l’università di Garissa) e in Uganda.

Nonostante la presenza dei soldati dalla missione dell’Unione africana (Amisom), la guerra tra le forze fedeli al governo e i miliziani jihadisti continua per anni, mentre la situazione alimentare e sanitaria della popolazione peggiora. Guerra civile, attentati e carestie costringono centinaia di migliaia di somali a scappare nei paesi vicini: Kenya, Yemen, Etiopia, Uganda, Gibuti ed Eritrea. I profughi interni sono più di un milione e mezzo. L’approvazione di una costituzione provvisoria, la nomina di un nuovo parlamento e l’elezione, nel 2012, del presidente Hassan Sheikh Mohamud, segnano l’inizio di una nuova fase politica. Nel febbraio del 2017 subentra nella carica presidenziale l’ex premier Mohamed Abdullahi Mohamed, detto Farmaajo. Nell’autunno del 2017 Al Shabaab torna a colpire Mogadiscio con un attentato che causa la morte di quasi 600 persone.

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„Migranti, polizia francese trascina fuori da un treno una donna incinta proveniente da Ventimiglia“

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Video: Französische Polizei zerrt eine schwangere Migrantin aus einem Zug, der aus Ventimiglia kam. Die Frau reiste mit ihrer Familie und musste in Mentone aussteigen.

Il Fatto Quotidiano | 05.04.2018

Un video, pubblicato nei giorni scorsi da tre studenti francesi, mostra una squadra della polizia francese che trascina fuori da un treno una migrante incinta, prendendola per braccia e gambe dopo un controllo tra grida e proteste. La donna, scrive il giornale Nice Matin, viaggiava con la sua famiglia su un convoglio proveniente da Ventimiglia ed è stata costretta a scendere a Mentone.

“Dovete scendere, scendete!”, gridano gli agenti nel video a un uomo che risponde in inglese: “Perché mi arrestate? Sono con mia moglie, è incinta”. L’uomo, scrive ancora Nice-Matin, si rifiuta di consegnare i documenti e gli agenti decidono di far scendere la famiglia. La situazione degenera rapidamente tra le grida dell’uomo: “Non toccate mia moglie, è incinta!”. La donna accusa un malore e viene quindi trascinata sulla banchina della stazione. Le immagini sono state girate con il cellulare da tre studenti di Cannes che rientravano da un reportage a Ventimiglia proprio sulla situazione dei migranti al confine italo-francese. Anche i tre giovani sono stati controllati dalla polizia. Il video, girato a febbraio, era stato poi inviato all’Osservatorio nazionale sulle violenze della polizia. Il 27 marzo è finito su internet, scatenando polemiche e indignazione.

La prefettura del dipartimento Alpes-Maritimes, contattata da Nice-Matin, ha replicato: “Se ci sono delle violenze in questo video, non sono state commesse dalla polizia. E’ la reazione fuori misura dei soggetti fermati che ha costretto le forze dell’ordine a un uso proporzionato della forza. Ma non c’è stata violazione dei diritti delle persone”. La prefettura inoltre, dichiara che, una volta sulla banchina, una delle donne “ha lanciato un bambino sui binari e le forze dell’ordine sono intervenute per recuperarlo”.

 

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Migranti, occupata la stazione di Briancon: “Qui perché senza alternative”. Attivisti: “Stato si prenda le sue responsabilità”

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Seit zwei Nächten übernachten mehr als 100 Migrant*innen im Bahnhof von Biancon an der französisch-italienischen Grenze. Aktivisten der Gruppe Tous migrant haben ihn besetzt.

Il Fatto Quotidiano | 10.04.2018

Da due notti, oltre 100 migranti dormono nella stazione ferroviaria del comune francese di Briancon, al confine con l’Italia, occupata da un gruppo di attivisti del gruppo Tous migrant.  “Questa è l’unica risposta possibile al grosso afflusso di migranti in arrivo” scrivono i volontari sulla loro pagina Facebook. “Servono materassi, coperte e cibo – è l’appello – Tra il rifugio solidale, la parrocchia e la stazione ci sono oltre 150 persone che hanno bisogno di un posto dove dormire”. Gli occupanti arrivano dal Mali, dalla Costa d’Avorio e dal Gambia e hanno marciato per oltre venti chilometri in mezzo alla neve per passare il confine italo-francese. “Non avevamo altra scelta, dovevamo aiutarli -spiega Elie, uno studente francese – e così abbiamo aperto la stazione”. Alcuni di loro hanno vissuto in Italia. Come Koulibaly, originario del Mali che ha lavorato nelle campagne del sud: “Ho raccolto pomodori a Foggia e arance a Rosarno, sempre senza contratto, ma adesso voglio andare in Francia”. Accanto a lui si riposa Mohammad, anche lui maliano. Vuole andare a Parigi perché c’è più tolleranza: “L’Italia ci ha accolto, ma non è ancora pronta per i migranti: quando camminavo, la gente cambiava percorso perché aveva paura di me”.

Corriere della Sera | 10.04.2018

Migranti occupano la stazione di Briançon, alla frontiera con l’Italia

 

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ARTE: Türsteher Europas – Wie Afrika Flüchtlinge stoppen soll

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ARTE | 12.06.2018

52 Min.
Verfügbar von 12/06/2018 bis 11/07/2018
Live verfügbar: ja
Nächste Ausstrahlung am Freitag, 15. Juni um 02:55

Mit Milliardensummen werden afrikanische Staaten als neue Grenzschützer etabliert. Entwicklungshilfe wird an Bedingungen geknüpft: Nur wer Europa bei der Migrationskontrolle beisteht, bekommt Geld. Profiteure dieser Politik sind Rüstungs- und Sicherheitsfirmen. In zwölf Ländern haben die Autoren der Dokumentation erkundet, wie Europa heute seine Grenzen durch Afrika zieht.

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Spanien hat es vorgemacht: Als 2004 Flüchtlinge in Booten von Westafrika zu den Kanarischen Inseln fuhren, griff das Land durch. Es zahlte Ländern wie Senegal viele Millionen Euro, um die Flüchtlinge zu stoppen. Seitdem riegelt die spanische Küstenwache die senegalesischen Strände ab, Tausende Kilometer von Europa entfernt. Dieses Prinzip kopiert die EU heute im großen Stil mit fast zwei Dutzend Ländern in Afrika. Der Deal lautet: Entwicklungshilfe gegen Flüchtlingsstopp. Mehrere Milliarden Euro bietet die EU für die Koalition in Sachen Grenzschutz. Entwicklungshilfe wird an Bedingungen geknüpft: Wer beim Kampf gegen irreguläre Migration als Türsteher der EU agiert, bekommt Geld. Europäische Polizisten und Soldaten werden in immer mehr Länder Afrikas geschickt, um den Grenzschutz zu verbessern. Auch Diktaturen wie Sudan und Eritrea werden so zu „Partnern“ Europas, um Fluchtrouten zu unterbrechen. Für europäische Sicherheits- und Rüstungskonzerne ist das Geschäft mit der Grenztechnologie ein neuer Absatzmarkt. Mit Hilfe von Entwicklungsgeldern investieren afrikanische Regierungen in Hochtechnologie „Made in Europe“, die sie sich ohne EU-Hilfe nicht leisten können. Kritik äußert die Afrikanische Union: Sie sieht ihre Pläne von einem Kontinent der Freizügigkeit ähnlich dem Schengen-Modell als unvereinbar mit den EU-Vorstellungen. Die Reporter Jan Schäfer und Simone Schlindwein haben unter anderem in Uganda, Niger und dem Sudan untersucht, wie die EU ihre Migrationspolitik in Afrika durchsetzt, wer davon profitiert und welchen Preis die Migranten dafür zahlen müssen.

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Flüchtlinge im Mittelmeer: Das Sterben geht weiter – Video

Film: Il ritorno del mare chiuso

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In dem Film Mare Chiuso von Stefano Liberti und Andrea Segre aus dem Jahr 2012 erzählen Migrant*innen von den Folgen, die das Abkommen zwischen Berlusconi und Ghadaffi für sie hatte. Auch damals wurden alle Boote, auf denen sich Flüchtende befanden, systematisch nach Libyen zurückgebracht. Das italienische Filmkollektiv ZaLab bietet den Dokumentarfilm aus aktuellem Anlass nun als Stream an – auch in einer englischsprachigen Version.

Internazionale | 12.07.2018

Accordi con i libici, blocco navale, porti chiusi: le parole d’ordine che risuonano oggi non sono nuove. Tra il 2009 e il 2010, in seguito agli accordi tra il governo di Muammar Gheddafi e quello italiano guidato da Silvio Berlusconi, tutte le imbarcazioni che trasportavano migranti venivano sistematicamente ricondotte in territorio libico dalla marina militare e dalla guardia di finanza italiana.

Una strategia politica per la quale l’Italia è stata condannata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, per aver violato l’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti umani e aver rimandato nel paese nordafricano alcuni cittadini eritrei e somali, che rischiavano di subire trattamenti inumani e degradanti.

Il documentario Mare chiuso, di Stefano Liberti e Andrea Segre, racconta quella pagina storica attraverso le testimonianze dei migranti respinti in Libia. ZaLab lo ripropone in streaming gratuito per dare idealmente voce a quanti vengono respinti in queste ore e per dare il proprio contributo al dibattito in corso.

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Demonstration in Ventimiglia: „Weder Macron noch Salvini“

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La Repubblica | 13.07.2018

Ventimiglia, manifestazione No Borders al confine: ma i francesi sbarrano la strada

di Giulia Destefanis

‘Né con Macron né con Salvini’: un centinaio di attivisti, vernice alla mano e giubbotti salvagente sulle spalle, manifestano al confine tra Italia e Francia a Ventimiglia, a un passo dagli scogli teatro della prima grande protesta del 2015. Obiettivo: provare simbolicamente ad attraversare la frontiera per chiedere libertà di movimento per i migranti. Ma le forze dell’ordine italiane e francesi, schierate con reti e camionette, sbarrano la strada. „Siamo pacifici, non forziamo il blocco – spiegano i ragazzi di Progetto 20k, che da anni sostengono i migranti in transito a Ventimiglia – Ma il fatto che ci sbarrino la strada dimostra che le frontiere in questa Europa sono chiuse, o meglio aperte solo a merci e capitali’.

I manifestanti, che domani torneranno in piazza a Ventimiglia per un corteo proprio nel giorno di festa nazionale francese del 14 luglio, chiedono l’istituzione di un ‘permesso di soggiorno europeo“ per i popoli migranti.

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Dokumentarfilm über die Lebensbedingungen von Migrant*innen in Libyen

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„In Libyen ist die Sklaverei wieder eingeführt worden. Europa hat es provoziert, Europa hat es zugelassen und Europa profitiert davon. Für den Notfall hat Europa seine eigenen Sklaven auf der anderen Seite des Meeres“ – so die Botschaft von drei Boat People aus Afrika, die in Sizilien gelandet sind und die Regisseur Michelangelo Severgnini in seinem Film ‚Schiavi di Reserva‘ zu Wort kommen lässt.

Il Fatto Quotidiano | 25.07.2018

Schiavi di riserva, il documentario di Michelangelo Severgnini sulla condizione dei migranti in Libia

“In Libia, la schiavitù è stata ripristinata. L’Europa l’ha provocata, l’ha permessa e ne trae beneficio. In caso di necessità, l’UE ha i propri schiavi di riserva appena oltremare. Questo è il messaggio consegnatoci da 3 ragazzi africani appena sbarcati in Sicilia, dopo aver attraversato il deserto e il mare e soprattutto dopo essere stati usati come schiavi in Libia.

La situazione sul terreno, fuori controllo e gestita da diverse bande armate locali, e la mancanza di un governo riconosciuto creano le condizioni perché la schiavitù sia comunemente accettata, diventando una parte reggente del sistema produttivo libico. Tuttavia, qual è il ruolo dell’UE in questo inferno? L’Italia ha finanziato le milizie libiche e i centri penitenziari (in realtà colonie di schiavi) con milioni di euro per combattere l’immigrazione. L’Italia ha venduto armi all’Arabia Saudita (500 milioni di euro negli ultimi 2 anni), ora finite nelle mani dei gruppi armati africani di Libia, Niger e Mali.

L’Italia ha ora dispiegato 500 soldati italiani in Niger per opporsi a queste bande. L’Italia ha pagato la più grande tangente della storia (oltre 1 miliardo di euro pagati nel 2011 dall’ENI) agli allora primo ministro nigeriano e ministro del petrolio nigeriano per assicurarsi lo sfruttamento di un’area al largo della Nigeria. È un paradigma condiviso? Ci stiamo preparando ad accettare la schiavitù in tutto il mondo?”. Così il regista Michelangelo Severgnini presenta il documentario che ha girato in Sicilia, raccogliendo le testimonianze di chi dalla Libia è fuggito

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Ceuta: 100 der 700 Zaunüberwinder „heiß abgeschoben“

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Von den über 700 Geflüchteten, die heute den EU-Zaun von Ceuta überwanden und auf spanischem Boden vom Roten Kreuz in Empfang genommen wurden, schob die spanische Guardia Civil auf illegale Weise schätzungsweise 100 der Geflüchteten durch Türe im EU-Zaun nach Marokko ab, siehe unten verlinktes Video der Tageszeitung „El Faro de Ceuta“. Die sozialistische Regierung hat bei ihrem Regierungsantritt vor wenigen Wochen versprochen, dass derartige „heiße Abschiebungen“ ab sofort nicht mehr praktiziert würden. Gerichte hatten diese Praxis der Kollektivabschiebungen an den EU-Zäunen der spanischen Enklaven Ceuta und Melilla als illegal gebrandmarkt.

el Faro | 26.07.2018

Devoluciones en caliente en Ceuta tras las promesas de Pedro Sánchez de quitarlas

A pie de vallado se han producido entregas de inmigrantes a Marruecos

por Carmen Echarri

La política migratoria en el perímetro fronterizo no ha cambiado mucho desde la llegada del PSOE al Gobierno. Eso a pesar de las promesas efectuadas por Pedro Sánchez en el discurso de investidura para relevar a Mariano Rajoy en la presidencia del Gobierno. A pie de frontera que separa Ceuta de Marruecos, la Guardia Civil ha procedido a devolver a varios inmigrantes después de ser bajados de la valla en el salto masivo de esta mañana.

Por mucho que Sánchez hiciera promesas el protocolo no ha cambiado a pie de valla, puesto que a la Guardia Civil no se le ha dicho que varíe su modo de actuar y proceder. Tras ser reconocidos por la Cruz Roja, que se encargó de comprobar si tenían o no heridas, la Benemérita se ha ceñido a las órdenes que aún no se han variado: si no tienen heridas eran entregados por la puerta a los agentes marroquíes.

Y así ante los gritos de los inmigrantes, se aplicaban las mismas políticas migratorias que han existido siempre en el vallado, sin que el Gobierno del PSOE haya dado otras órdenes diferentes salvo la prohibición, dictada tras el 6F, de no emplear material antidisturbio.

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el Faró | 26.07.2018

Cizallas, cal viva y bolas de heces para conseguir una entrada masiva por la valla de Ceuta

Al menos 400 subsaharianos han conseguido el pase y llegar a la carrera al CETI en una de las entradas más violentas que recuerda la Guardia Civil. Hay varios agentes heridos e inmigrantes

por Carmen Echarri

La de esta madrugada ha sido la más violenta en tiempos que recuerda la Guardia Civil de Ceuta. Hasta 600 personas han conseguido el pase y para ello no han dudado en arrojar bolas con heces, cal viva o ácido contra los guardias civiles además de usar radiales, cizallas y lanzallamas caseros, según han manifestado agentes a pie de terreno.

Hay varios ingresados en el HUCE pero también hasta allí han llegado varios inmigrantes con heridas y cortes producidos por las concertinas. La de hoy ha sido una entrada que ha dejado sin posibilidad de acción a la Guardia Civil y a Marruecos, posibilitándose el pase por la zona de las Lanzas.

Cientos de estos jóvenes, muchos menores, han ido a la carrera por el Príncipe hasta llegar al CETI; por el camino se veían sus ropas. Varios se han quedado encaramados, viviéndose en la misma valla las escenas más llamativas. Los heridos, tras ser reconocidos por la Cruz Roja han sido trasladados al Hospital pero otros, tras su examen, han sido devueltos a Marruecos.

Los gritos y lamentos de quienes eran entregados se escuchaban en toda la valla. Había quienes a sabiendas de que les iban a devolver intentaban escapara sin éxito. Varios han sido entregados por la doble valla.

Mientras esto ocurría en el perímetro, en el CETI se buscaba la organización de todos los que habían llegado por sus propios medios. Eran tantos que el centro ha terminado desbordándose. Se barajará ahora si tener que montar módulos externos para darles acogida.

Tras meses de bloqueo fronterizo en los que el mar ha sido la principal vía para la inmigración, los subsaharianos han vuelto a utilizar el salto a la valla de Ceuta traducido en la entradas más importante del año. La Guardia Civil está valorando ahora los daños causados.

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